“Galoppa selvaggia, la paura del lupo per noi, che siamo legati al mondo della natura da un filo ormai esile” (Riccardo Rao, Il tempo dei lupi)
Negli ultimi decenni, la popolazione di lupi nei paesi europei sta tornando ad ampliarsi, dopo aver sfiorato l’estinzione a causa dell’accanita caccia che l’uomo gli ha opposto. Se gli studiosi naturalisti e i simpatizzanti animalisti se ne rallegrano, c’è anche chi non vede di buon occhio questo ritorno. Allevatori, specialmente di pecore, che vedono minacciato il proprio gregge; cacciatori che temono la competizione di questo formidabile predatore; ma anche la gente comune, preda di un retaggio culturale che ha dipinto il lupo come un mostro quasi diabolico, il nemico fiabesco per antonomasia.
“Il tempo dei lupi” è un libro recentemente edito da Utet e scritto da Riccardo Rao, professore di Storia Medievale presso l’Università di Bergamo. L’autore svolge una approfondita ricerca storica sul rapporto, anche immaginale, fra il lupo e l’uomo, tracciandone lo sviluppo attraverso i secoli, e cercando la radice della paura che proviamo verso questo animale. Una paura che spesso si dice atavica, ma che come Rao dimostra è di fatto culturale, nata in tempi relativamente recenti ed alimentata da una specifica concezione del mondo che si è imposta sulla nostra società.
L’origine della oscura fama del lupo è da ricercarsi nell’impianto allegorico dei Vangeli: alla figura della pecora e del gregge, corrispondenti al fedele e alla comunità, si contrapponeva appunto la minaccia lupina, che incarnava le passioni e i peccati – come la lussuria, la gola, l’avidità e l’ira – ma anche l’eresia. Col passare del tempo, la parte metaforica è scivolata in un letteralismo che ha portato a individuare il lupo in carne ed ossa come una minaccia per l’intera civiltà: un pericolo da eliminare ad ogni costo.
L’autore riesce nel delicato compito di coniugare l’esattezza biologica con la complessità del divenire storico. Intanto perchè la società cambia: nel corso del Medioevo si è andata via via affermando un’economia sempre più basata sull’allevamento ovino, ed è chiaro che ciò ha aumentato l’incompatibilità del lupo con gli affari umani. Ma anche il paesaggio cambia: l’avanzata della civiltà corrisponde alla distruzione del bosco, l’habitat d’elezione del lupo. Ciò significa minor spazio e minor fonte di cibo per questo predatore, che si trova così costretto a tentare la sorte e avvicinarsi alle attività umane. E’ anche a causa dell’abbattimento delle grandi foreste, infatti, se il lupo è stato portato a predare animali allevati dall’uomo, e occasionalmente anche attaccare i giovani pastori che li accudivano. Questo dimostra che anche il lupo, in fin dei conti, cambia con il passare dei secoli: il lupo, secondo Rao, è un animale “culturale”, proprio perchè ha la capacità di adattarsi e modificare il suo comportamento alle circostanze. Un lupo del VI secolo non è lo stesso di un lupo del 2020. L’idea che un animale possa cambiare nel corso della storia è importante nello studio dell’ecologia e nella ricerca di una convivenza fra l’uomo e la parte più selvatica della natura; un concetto che spesso non trova la giusta risonanza.
Un altro merito del libro è l’approfondita disamina sul ruolo del lupo nel folklore: da Cappuccetto Rosso al lupo di Gubbio, fino a episodi più recenti come quello della bestia di Gévaudan, e della belva che terrorizzò Milano nel 1792. Straordinario, per l’intensità che comunica, è poi il capitolo su Ana Maria, la “pastora di lupi” delle Asturie. Non si tratta di una ricerca confinata al passato: le idee sottostanti a queste narrazioni folkloriche, tutto sommato, si trovano espresse ancora nei nostri giorni, nelle reazioni popolari e nelle leggende metropolitane collegate all’odierno ritorno dei lupi. Mai come in questo caso, lo studio della storia è di estrema importanza per comprendere l’attualità.
(Recensione a cura di Gaia Zanin e Francesco Boer)
“Abbiamo incoraggiato l’evoluzione di altre specie, le quali a loro volta hanno determinato le sorti della nostra vita“. (Edmund Russel, Storia ed Evoluzione)
“Storia ed Evoluzione“ è un libro di Edmund Russell, recentemente pubblicato da Bollati Boringhieri.
Lo scopo dichiarato di questo libro è di gettare un ponte fra lo studio scientifico dell’evoluzione e l’approccio umanistico alla storia umana. I due aspetti, infatti, non sono così separati come si ritiene, ma al contrario c’è una fitta rete di relazioni fra i due, che porta a una reciproca influenza sia sulle vicende della società umana, che sull’ambiente in cui viviamo.
L’essere umano gioca un ruolo importante nell’evoluzione delle specie. Un ruolo che a volte è deliberato, mentre in altri casi è inconsapevole. E’ noto l’esempio della selezione artificiale, che in agricoltura e negli allevamenti ha portato alla modificazione anche considerevole delle caratteristiche di una specie. Ma non sempre le cose vanno come pianificato. Anzi, a volte l’intervento umano porta a risultati opposti rispetto all’intenzione originaria. Russell porta l’esempio degli elefanti: il bracconaggio per ottenere l’avorio ha favorito l’emergere in sempre maggior numero di individui privi di zanne. Questi infatti non vengono cacciati, e dunque sopravvivono e hanno una maggior probabilità di avere una discendenza con il medesimo carattere. Una simile dinamica ci tocca molto da vicino per quanto riguarda il controllo di insetti nocivi e batteri: il crescente utilizzo di insetticidi e antibiotici porta alla comparsa di popolazioni sempre più resistenti, ponendo una sfida difficile, una continua rincorsa che non è semplice mantenere.
Non è soltanto l’essere umano a influenzare l’evoluzione delle altre specie; vale anche l’opposto. La modificazione di specie vegetali e animali porta per forza di cose a nuovi sviluppi nella tecnica e di conseguenza nella civiltà e negli usi. La storia del cotone viene presentata nel testo come emblematica rispetto a questa reciprocità. La selezione artificiale ha portato alla comparsa di varietà di cotone con fibre notevolmente più lunghe rispetto a quelle spontanee. Ciò ha permesso lo sviluppo di macchinari industriali, che invece non funzionavano adeguatamente con fibre di misura ridotta. Questo ha portato dunque a un balzo in avanti nella rivoluzione industriale: ecco come l’intervento umano e l’evoluzione delle specie vengano a formare un circolo retroattivo, influenzandosi e alimentandosi a vicenda.
A chiusura del libro, l’autore riporta una serie di tabelle che indicano diverse forze sociali che hanno plasmato l’evoluzione, e le forze evolutive che hanno influenzato la storia umana. L’augurio di Russell – che ci sentiamo di condividere – chiude degnamente un libro al tempo stesso innovativo, preciso e comprensibile: “La storia ci aiuta a comprendere la complessità umana; la biologia evoluzionistica ci aiuta a capire il modo in cui le popolazioni di organismi coevolvono; insieme, la sintesi di storia e di biologia ci permette di decodificare il mondo intorno a noi meglio di quanto questi due campi non possano fare da soli“.
“Il cambiare delle stagioni, i cicli della luna, gli equinozi portavano con sè le proprie regolari cerimonie; la decorazione degli oggetti di culto, delle maschere, degli abiti da cerimonia, degli strumenti musicali, gli affreschi nei templi – tutto il simbolismo religioso connesso con queste attività forniva una grande ispirazione all’espressione creativa e artistica. Questa pacifica religione della fertilità, basata sull’agricoltura ma allo stesso tempo dinamica, è prevalsa nella vita dei popoli dediti all’agricoltura per diversi millenni.“ Dorothy Cameron, Simboli di Vita e di Morte nell’età Neolitica (Venexia editrice)
“Laddove i maori vedono una Via Lattea di ciottoli luccicanti, gli indù vedono un branco di delfini che nuotano e i popoli finnici uno stormo di uccelli in volo. Gli armeni immaginano un ladro che ha rubato una balla di fieno, e nella fuga, perde un po’ di erba secca; per i cherokee, il ladro è un cane che rovescia un sacco di farina di mais. Per gli ungheresi, la Via Lattea ricorda le scintille prodotte dai ferri dei cavalli sul selciato quando un drappello di cavalleria si precipita verso la battaglia. Il popolo zulu la immagina come lo stomaco di una mucca, mentre gli antichi greci ci vedevano il latte schizzato nel cielo quando Eracle, appena nato, succhiò troppo forte il capezzolo della madre.“ Anthony Aveni, Stelle (Il Saggiatore)
La fantasia dei popoli che è giunta fino a noi, non viene dalle stelle – almeno così cantava Battiato. Ma a ben pensarci, è un giudizio un po’ drastico. Da sempre l’umanità ha trovato nel cielo notturno un grande specchio su cui riflettere. Il firmamento è un magnete che attrae la mente, un catalizzatore attorno a cui si cristallizzano piccole storie e grandi mitologie.
Abbiamo una certa familiarità con le leggende greche legate alle costellazioni. Sappiamo ad esempio che Orione era un borioso cacciatore, e che gli dei decisero di punirlo mandando un velenoso scorpione sul suo sentiero. Ma cosa raccontano, gli altri popoli, di questa stessa costellazione? Quali storie si intessono attorno alle sue stelle, in Cina, o in Sud America?
E’ proprio per rispondere a domande simili che è stato scritto Stelle – Il grande racconto delle costellazioni – un libro di Anthony Aveni, recentemente tradotto in italiano da Il Saggiatore.
“«Questo universo è davvero un vivente animato e intelligente, generato dalla provvidenza». Così scriveva Platone nel Timeo, celebrando il cosmo come un àgalma, un’«immagine sacra», che rappresenta e riproduce, nel divenire, l’eterna perfezione dell’essere. Un grande e meraviglioso «animale», un organismo che ha zoé, «vita», sensazione e pensiero. In esso nulla è irrelato perché un’invisibile harmonìa ne connette saldamente gli elementi, creando una trama occulta di corrispondenze e di mutui effetti. E’ come se un unico «respiro» lo attraversasse da un capo all’altro e ciascuna cosa inalasse ed esalasse questo soffio, secondo un impercettibile, ma regolare ritmo che riverbera ovunque.” Davide Susanetti, Il simbolo nell’anima (Carocci editore)
Non potevo certo farmi scappare un libro con un titolo simile! Il simbolo nell’anima è un libro di Davide Susanetti, professore di letteratura greca all’Università di Padova e già autore di altri libri sulla sapienza dell’antica Grecia, come La via degli dei, o Luce delle Muse.
Il Simbolo nell’anima approfondisce il tema della ricerca di sè, seguendone le tracce nella tradizione platonica. Il filo conduttore è il celebre «conosci te stesso» dell’oracolo delfico. Partendo dai dialoghi di Platone, l’autore ci conduce alla scoperta delle meditazioni di Plotino, agli scritti di Giamblico e Sinesio di Cirene, fino alla teurgia di Proclo e alla poesia mistica degli Oracoli Caldaici.
Conoscere sé stessi non è semplicemente un’introspezione, non è la banale constatazione del proprio carattere, delle qualità e dei difetti che ciascuno di noi ha. Quello non è che il primo passo: la vera scoperta di sé inizia lì, il primo passo di un viaggio lungo e impegnativo che porta l’anima a elevarsi dal mondo materiale, dal piano più basso dell’esistenza fino a ricongiungersi con la divinità.
Ogni capitolo del libro segue un autore della tradizione platonica, focalizzandosi sui diversi approcci a questo viaggio dell’anima: la contemplazione di Plotino, il sogno in Sinesio, l’aspetto rituale in Proclo. Tratto comune di queste vie convergenti è il simbolo:
“Solo la forza dei simboli poteva rendere l’anima capace di procedere al di là del corporeo. Solo l’efficacia dei riti, che di quei simboli sapevano fare un uso conveniente, poteva davvero ripristinare la connessione perduta con gli dei e con i livelli più alti dell’essere.“
Il simbolo collega le cose del mondo alle potenze divine, come una segnatura che proviene dalla causa divina e si imprime in ogni sostanza. Ma questo rapporto è anche una via che si può percorrere in senso opposto, per quel “viaggio di ritorno” che l’anima intraprende staccandosi dal divenire per tornare al divino.
L’erudizione e la precisione del testo non contrastano con la sua attualità. Al contrario, uno dei pregi de Il simbolo nell’anima è di proporsi come l’invito a una via spirituale tutt’ora percorribile. L’autore stesso lo esplicita nell’introduzione con parole particolarmente ispirate:
“La possibilità di «re-incantare il mondo», non per tornare all’impossibile ingenuità dell’arcaico e del mitico, ma per saldare la sapienza della tradizione antica con le punte più avanzate di una nuova scienza: creare la realtà del «post», riaccendendo la «scintilla di simboli antichi», nella rinnovata e diversamente concepita consapevolezza di un universo che non sia materia bruta, mossa da leggi meccaniche in un vuoto inerte, ma un tutto coerente e cosciente, in un campo unificato ,in cui la realtà fisica e realtà spirituale sono il medesimo.“
In questo difficile periodo, i libri sono una consolazione e un rifugio. Particolarmente terapeutica è stata la lettura di Con grazia di tocco e di parola di Erika Maderna (Aboca edizioni).
“In virtù del principio ermetico «come in alto così in basso», tutte le cose nel mondo sublunare sono in corrispondenza con l’ordine celestiale dei cieli.”
Alchimia e Astrologiaè il titolo di una raccolta di saggi a firma di Rodney Blackhirst, recentemente tradotti da Eduardo Ciampi per Irfan Edizioni.
Il punto di vista di Blakckhirst è quello della scuola perennialista, sulla scia di autori quali René Guénon, Ananda Coomaraswamy o Fritjof Shuon. Il testo, tuttavia, può offrire brillanti spunti di riflessione anche a chi, come me, non è pienamente in sintonia con questa scuola di pensiero.
La corrispondenza fra Terra e Cielo è il filo conduttore degli articoli tradotti in questa antologia, che toccano diversi argomenti. Fra tutte, di notevole interesse sono le considerazioni sulla simbologia sessuale, in Il simbolismo alchemico degli atti generativi; quelle alimentari, in L’alchimia dei cibi tradizionali; la simbologia agricola di La pianta-uomo: temi dell’Alchimia in agricoltura.
L’alchimia, d’altronde, viene a volte descritta come “agricoltura celeste”. Ma i testi di Blackhirst non sono un semplice elenco di corrispondenze fra diversi regni dell’esistenza. L’autore stesso lo esplicita, con righe su cui si potrebbe meditare a lungo:
“C’è un alto che è al di là sia della terra che del Cielo, rispetto al quale sia Terra che Cielo rappresentano un basso. Al di là della corrispondenza cosmologica tra Terra e Cielo, l’assioma fa riferimento ad una verità metafisica, ovvero la corrispondenza tra il Principio Increato e tutte le sue manifestazioni, o meglio tra il Divino e il mortale, l’Increato ed il creato, il Non Manifesto ed il manifesto. Il divino è l’alto ed il creato – incluso l’ordine celestiale – è il basso. E’ questa corrispondenza a generare le altre.”
“Quando sollevai il primo velo ed entrai nell’atrio esterno del Tempio delle Iniziazioni, vidi nella semioscurità la figura di una Donna seduta su un alto trono tra due colonne del tempio, una bianca e una nera. Da lei emanava mistero, ed esso lo circondava. Sacri simboli brillavano sulla sua veste verde; sulla sua testa poggiava una tiara dorata, sormontata da una mezzaluna. Sulle sue ginocchia teneva due chiavi incrociate e un libro aperto. Tra le due colonne dietro la Donna era appeso un altro velo, tutto ricamato con figure di foglie verdi e melograni. E la voce disse: «Per entrare nel Tempio, è necessario sollevare il secondo velo e passare tra le due colonne. E per farlo, è necessario ottenere il possesso delle chiavi, leggere il libro e comprendere i simboli. Sei in grado di farlo?»”
Piotr Demianovich Ouspensky non fu solamente un epigono di Gurdjieff. Anche prima di incontrare il suo maestro, Ouspensky era impegnato in fervide ricerche esoteriche, su cui scrisse diversi testi. Fra questi, un testo breve ma denso, intitolato Il simbolismo dei Tarocchi, che è stato recentemente tradotto e pubblicato da Tlon edizioni.
Di libri sull’argomento ce ne sono davvero tanti. Questo, però, ha la rara particolarità di usare l’immaginazione come mezzo di indagine per intuire la simbologia degli Arcani. Ouspensky non si limita a una comprensione intellettuale, ma entra in rapporto diretto con le immagini: le affronta, ci discute, le vive. Più che insegnarci la simbologia dei Tarocchi, questo libro ci mostra dunque qualcosa di ancora più prezioso: un modo per entrare in diretto contatto con il simbolo.
“Non si tratta, è chiaro, di vedere il futuro, ma di divinare il desiderio che l’Anima delle cose rimanda, di leggere la realtà come un tiro di Tarocchi, uno specchio della tensione simbolica del presente.”
Veggenzadi Stefano Riccesi (Porto Seguro editore) è un libro con un titolo che potrebbe ingannare. Non parla, come si potrebbe pensare in un primo momento, di ingenui oracoli, o di vaticini che pretendono di sostituire l’incertezza dell’essere con effimere speranze. Il soggetto del libro è invece qualcosa di molto più profondo e autentico: la capacità, appunto, di vedere, nel senso più vero della parola, di scorgere la verità archetipica che si nasconde dietro il velo cangiante delle cose temporali, e al tempo stesso si rivela tramite esso.