Bestiario invisibile

Le nostre città allora, quelle stesse città che sono il compendio del nostro impatto sulla Terra, possono diventare il simbolo di una nuova speranza. La natura della città è forse l’ultima forma di natura ancora in grado di responsabilizzarci e cambiare la nostra visione del mondo e il nostro modo di agire nei confronti della biodiversità. Ripensando a tutta la sofferenza e a tutta la bellezza cui avevo avuto la fortuna di assistere in quella lunga giornata, i miei occhi si facevano strada nell’intrico del cespuglio dov’erano scomparse le volpi; nonostante il buio del sottobosco, una nuova luce mi annebbiava la vista.
Marco Granata, Bestiario invisibile: Guida agli animali delle nostre città (Il Saggiatore, 2022)

“La natura si riprende i suoi spazi”. Quante volte, durante i mesi del lockdown, l’abbiamo sentita, forse anche pronunciata?
È bastato attenuare la nostra presenza per concedere terreno alla vita selvatica. Volpi che esplorano le vie dell’abitato, anatre nelle fontane cittadine, cinghiali che scendono in centro.
Non si tratta, però, di una novità. Durante la chiusura forzata della pandemia, il fenomeno è stato più evidente, ma la presenza della vita animale nelle nostre città è una costante, e anzi sembra essere in crescita.
Non è però un’idilliaca rivincita della natura, come a molti piace pensare. La sovrapposizione fra il territorio urbano e quello animale presenta sfide di convivenza, ed evidenzia storture di fondo che derivano dal modo pervasivo e sregolato che noi umani abbiamo di abitare il mondo.

È la volpe che si spinge in città, o è la città ad aver inglobato gran parte dello spazio, costringendo gli animali ad inurbarsi?
Il cinghiale, quando grufola fra i rifiuti, è davvero “natura”, o partecipa a modo suo di quell’artificialità che permea la metropoli? E in ogni caso, dove sta la distinzione fra i due mondi?
“La natura si riprende i suoi spazi”, ma è vero poi che tutta la natura può rifluire negli spazi antropizzati? Certi animali riescono a convivere con la presenza umana, è vero, e alcune specie ne traggono addirittura giovamento; ma per altri c’è un fondamentale problema di incompatibilità, che si traduce in una riduzione di fatto, un’esclusione che minaccia di portare all’estinzione – dapprima locale, fino a farsi globale nei casi più gravi. Ecco dunque che la natura compenetra la città, ma quest’ultima rischia di avere un effetto appiattente, riducendo la biodiversità che un ambiente meno disturbato può favorire, e dando spazio e risorse soltanto ad alcune specie: piccioni, ratti, blatte e via dicendo, una compagnia ristretta di pochi “volti noti”, che si ripresenta pressoché identica in ogni città.

Bestiario invisibile è innanzitutto una guida da campo, ma è anche il racconto di una scoperta. Dalle stanze di casa alle strade della periferia, Marco Granata ci mostra che lo spazio urbano è tutt’altro che un mondo asettico, e che non siamo affatto gli unici abitanti delle città che pur chiamiamo “nostre” – anzi, forse non siamo nemmeno la specie che meglio si adatta ad esse.
Con passione e rigore biologico, l’autore passa in rassegna i diversi rappresentanti di quel mondo parallelo, vicino ma di fatto invisibile, e che si disvela solo all’occhio attento e aperto, capace di riconoscere la presenza dell’altro.

Nel corso dei capitoli, Marco Granata evidenzia anche gli irrisolvibili paradossi che sottostanno al nostro modo di abitare il mondo. Non c’è una soluzione semplice, non potrebbe esserci se non a costo di una semplificazione eccessiva, al punto di farsi distorsione. È così che nelle pagine di Bestiario Invisibile coesistono il rimpianto per una natura più vergine, e la volontà di scoprire più a fondo il mondo animale urbano, fino al punto di rivalutarlo, mettendo in luce situazioni virtuose e compresenze preziose, che non ci saremmo mai aspettati di trovare in ambienti che – a volte troppo frettolosamente – vengono definiti “degradati”. Tuttavia il libro non diventa mai un’apologia della metropoli, né si concede a facili speranze riguardo la natura urbana.

Le riflessioni sulle dinamiche ecologiche che si innescano nell’inurbamento degli animali formano l’attualissima e imprescindibile ossatura concettuale del libro. Parallelamente, però, il testo è anche una riflessione personale, il travagliato diario di un ragazzo di montagna che si trova costretto – per motivi di lavoro – a trasferirsi dalle montagne a un quartiere di Torino. I due aspetti non sono affatto slegati, anzi.
Bestiario invisibile è infatti anche un racconto autobiografico: la trattazione degli animali trova una vivace cornice nella narrazione di un appassionato di natura che si trova sradicato dalle sue valli. La ricerca di una vita naturale, anche nel scenario apparentemente grigio della città, diventa così una forma di resistenza, un modo di conservare la propria identità anche in quel mondo che sa essere schiacciante, omologante proprio come lo è nei confronti della biodiversità. In un certo senso, si potrebbe leggere Bestiario invisibile come il quaderno di un inurbamento più o meno forzato – non solo zoologico, ma anche umano, al tempo stesso personale e culturale.
L’ottimismo, tutto sommato, non è impossibile: il libro testimonia come sia possibile mantenere la propria natura, allo stesso modo in cui il mondo naturale, nonostante tutto, resiste anche nelle periferie apparentemente più inospitali. Non si tratta, però, di un lieto fine scontato: bisogna conquistarlo e proteggerlo, e per farlo occorre innanzitutto conoscerlo. È grazie a libri come questo, dunque, che il bestiario cessa di essere invisibile, e diventa un simbolo concreto, in grado di illuminare la strada verso una convivenza più armoniosa e significativa fra noi umani e le altre forme di vita con cui condividiamo questa terra.

Marco Granata, Bestiario invisibile (Il Saggiatore, 2022) – qui la scheda del libro sul sito della casa editrice

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