Micromondi

Abbiamo dimenticato la meraviglia dell’esplorazione? Sappiamo che la bellezza di quello che siamo e che viviamo deriva in buona parte da ciò che ci circonda?
Emanuele Biggi, Micromondi (Il Saggiatore, 2021)

C’è un diffuso luogo comune, secondo cui gli scienziati non avrebbero il senso dello stupore. Si contrappone il poeta allo studioso, pensando che soltanto il primo abbia la capacità di godere della bellezza del mondo, mentre l’altro riduca tutto a dati sterili, noiose tabelle e grafici. E c’è da dire che ogni pregiudizio, quando raggiunge un’ampia diffusione, finisce per influenzare anche la categoria bersagliata. Anche nel mondo della scienza, e persino in quello meraviglioso della natura, c’è chi addirittura si vergogna di ammettere un trasporto emotivo. Lo scienziato veste così i panni caricaturali che altri gli hanno cucito addosso: serioso, algido, cieco verso la bellezza.

Per fortuna, c’è sempre una frangia di persone che non si lasciano ridurre allo stereotipo; ed è una percentuale ben maggiore di quella che si crede comunemente. Restando nel campo della natura, conosco personalmente moltissimi studiosi che non solo sono profondamente preparati, ma che al tempo stesso non hanno rinnegato il trasporto personale che nutre il loro entusiasmo.

Micromondi è al tempo stesso un libro di divulgazione scientifica, e una dichiarazione d’amore. Emanuele Biggi ci porta in pagine dense di informazioni, eppure mai pesanti da leggere, proprio perché dal testo traspare senza pudore un bellissimo e contagioso entusiasmo. L’argomento su cui ci trascina l’autore, oltretutto, non è dei più popolari: parte dai rospi e prosegue fra vespe truculente, raccapriccianti parassiti, rane in foreste umidissime, vipere in deserti torridi. In poche parole, tutte quelle piccole creature che susciterebbero un “che schifo!” da parte della gente per bene. E anche questo si tratta di un pregiudizio, perché gli stessi animali che un adulto impara a disprezzare, sono per i bambini una fonte impareggiabile di meraviglia.

Non è un caso che Microcosmi inizi proprio dai ricordi d’infanzia. L’autore ci racconta i suoi primi incontri con i porcellini di terra, rospi e lucertole, con toni alla Durrell, leggeri e divertenti. Si avverte fra le righe l’importanza di un’educazione aperta e sostenitiva: è bello leggere di genitori che sostengono le passioni dei figli, anche dove queste vengono considerate come “stranezze” dalla società. È ancora affermata un’idea, in realtà del tutto antiquata, secondo cui educare significa incanalare l’attenzione su materie considerate utili, mentre tutti gli altri interessi vanno scoraggiati, perfino derisi. È in fin dei conti un altro aspetto dello stesso pregiudizio di cui sopra, e anche questo andrebbe ripensato, specialmente nei preziosi e fragili anni della formazione. “Imparare” non dev’essere per forza un processo austero, una fatica priva di sorrisi. Così non si fa che “formare” adulti spenti e omologati. Fra le pagine di Micromondi si può dunque anche trovare l’auspicio per un cambiamento in questo senso: una società che nel piccolo e nel grande non soffochi l’entusiasmo e le particolarità, ma che al contrario ne riconosca l’inestimabile valore.

Micromondi procede portandoci in terre vicine e lontane, mostrandoci animaletti minuscoli ma ricchi di meraviglia, specialmente nella varietà e ingegnosità dei loro adattamenti evolutivi. Il testo è ravvivato dalle spettacolari foto dell’autore stesso. Si resta senza fiato di fronte agli occhi della vipera nel deserto del Namibia, che emergono appena dalla sabbia dorata in cui l’animale cova in agguato: un’opera d’arte vivente.

Anche nei capitoli successivi, la prosa resta molto personale: non è di astratte specie viventi che si parla, ma di incontri a tu per tu, del rapporto diretto fra l’autore e i diversi animali. Nuovamente, in questo si può leggere la sfida a un altro aspetto ancora dello stesso paradigma. La scienza del passato, infatti, aveva inseguito un’impossibile ideale di oggettività assoluta. Si riteneva che il coinvolgimento dell’osservatore non potesse che guastare, con la propria personalità, l’esattezza della misurazione. Ecco dunque che anche in biologia, un animale cessava di essere fatto anche di sensazioni, e si trasformava in cifre, descrizioni asettiche, esperimenti ripetibili. Nel corso del XX secolo, questa tendenza è andata via via rovesciandosi, con una reintroduzione del soggetto nella grande equazione del mondo: una rivoluzione non solo scientifica, ma anche culturale, feconda di avanzamenti e nuove prospettive in moltissime discipline. Ciò nonostante, è ancora diffuso uno scientismo demodé, fermo a un’epistemologia ormai fossile.

Il bello di Micromondi, dunque, è che al tempo stesso insegna e diverte. Ci mostra che non bisogna aver paura di sporcarsi le mani, di entrare in contatto con ciò che a forza di condizionamenti si considera spaventoso o addirittura disgustoso. Si scoprirà così che la bruttezza, ribaltando un celebre detto, era in realtà nell’occhio di chi non guarda. L’immenso micromondo che si dischiude è invece meraviglioso e stupefacente. E ha tante cose da insegnarci, anche sui nostri preconcetti.

Emanuele Biggi, Micromondi (Il Saggiatore, 2021) – qui la scheda del libro sul sito della casa editrice

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