“Ci giro intorno, perché sono un montanaro e ho paura della retorica, ma sottovoce lo voglio dire: la neve secondo me ha a che fare con la poesia più di ogni altro fenomeno naturale e produce il più bello dei silenzi, un silenzio che il cielo costruisce con pazienza e che la terra accoglie con gratitudine.“
Daniele Zovi, Autobiografia della neve (UTET, 2020)

Abbiamo letto il libro sulla neve di Daniele Zovi durante una vacanza a Sauris. Di giorno si ciaspolava sui sentieri. La neve era caduta da poco, era ancora fresca e candida, solcata soltanto da tracce di volpi e ungulati. Durante i giorni di settimana c’è poco turismo, e così potevamo goderci il silenzio e l’incanto della neve, che sulle colline del nostro Carso arriva soltanto di rado. Quando calava il sole, poi, ci ritiravamo nell’accogliente locale dell’albergo diffuso, con un tè caldo in una mano, e il libro nell’altra. Pareva scritto apposta per svelarci i retroscena delle meraviglie che avevamo visto durante il giorno: ci raccontava dei colori della neve, spiegava come mai in alcune distese il bianco si riempisse di riflessi luccicanti; parlava delle stesse impronte che avevamo visto, e delle slavine di cui – non senza un certo brivido – scorgevamo lontano i segni, su in alto sulla schiena del monte.
Quando poi, il giorno dopo, si tornava a camminare sulla neve, la vedevamo con occhi più familiari, pur non perdendone il mistero: e questo, a mio avviso, è quanto di meglio si possa chiedere a un libro.
Il libro di Zovi parla senza dubbio di neve. Ma dunque, perchè l’auto-biografia del titolo? Il fatto è che il testo è anche fortemente personale, e d’altronde l’autore – nato e cresciuto sull’altopiano di Asiago – ha avuto un rapporto estremamente ravvicinato e intenso con questo elemento. Dall’infanzia al lavoro, nelle esplorazioni, fra sport, viaggi e ricordi, la storia della neve è anche storia di una vita, e viceversa. Le pagine fioccano intense ma lievi: mescolano scienza e poesia, memorie e utili indicazioni pratiche, e pare quasi di essere seduti attorno al caminetto, ad ascoltare la voce di uno che la neve la conosce da sempre.
In ogni memoria c’è sempre un filo di malinconia. E visto l’argomento, non può che esserci una vena di rimpianto per le temperature sempre crescenti del riscaldamento globale, che frenano le nevicate, e che – ancor peggio – consumano ghiacciai. Si tratta di un disastro ecologico, ma è anche una catastrofe poetica, e la cosa non è di minor importanza.
Non bisogna tuttavia arrendersi alla disperazione, e in questo senso il libro si chiude giustamente con una nota di speranza. Il tempo in cui la neve inizia a sciogliersi segna d’altronde l’inizio della primavera, ma l’anno è un ciclo che ritorna uguale, eppure sempre diverso. “Ormai per quest’anno il tempo della neve è finito, ma io conto di rivederla il prossimo inverno e comunque ce l’ho nel cuore: è uno spazio di pace, silenzio e meraviglia“.
Daniele Zovi, Autobiografia della neve (UTET, 2020) – qui la scheda del libro sul sito dell’autore