“Si crea una pericolosa crepa, un’apertura, la possibilità di vedere dentro l’insetto, attraverso l’insetto, ciò che sfugge al nome, alla scomposizione entomologica delle singole parti. Cosa vedo in questo Diaperis, che è il mio desiderio «privato», la mia identificazione? Vi vedo tutto. Magnetizza l’attenzione.“
Tommaso Lisa, Memorie dal sottobosco – un coleottero dei funghi (Exorma edizioni)

C’è un passo immortale, da una poesia di Coleridge – “Esplorò la sua Anima con un Telescopio. E tutto quanto gli appariva irregolare, egli vide e dimostrò essere splendore di Costellazioni. E aggiunse mondi e mondi nascosti alla coscienza.”
Memorie dal sottobosco è un libro complesso, da scoprire e conquistare. Più volte, leggendolo, mi è ritornato alla mente il passo di Coleridge, con la differenza che Tommaso Lisa scruta i suoi mondi non con un telescopio, ma tramite le lenti di un microscopio.
La cornice narrativa del libro è semplice ed efficace: l’autore apre una teca della sua collezione entomologica, e nell’osservare gli esemplari si immerge in ricordi, sogni e riflessioni evocati dai coleotteri spillati. La scatola di insetti è in un certo senso il doppio del libro: uno spazio all’apparenza piccolo, ma che si dischiude in pagine ricche e variegate.

Il vero protagonista del testo è il Diaperis boleti: un coleottero della famiglia dei tenebrionidi, che vive nei funghi degli alberi. Come un astronomo che osserva un sole, così Lisa guarda il suo coleottero (e suo è da intendersi in maniera quasi letterale, in un rapporto fra l’uomo e l’insetto che è personale, quasi un possesso reciproco). Nell’orbita del Diaperis gravitano ricordi d’infanzia, considerazioni filosofiche, comparazioni con altre specie d’insetto, resoconti di ricerche e allevamenti entomologici.
La livrea del Diaperis boleti mostra un netto contrasto cromatico fra il giallo vivace e caldo della striatura, e l’oscurità del resto del corpo, tipica dei tenebrionidi. In questo senso, l’insetto è sia un sole che un buco nero: costella anche ombre e ansie escatologiche, ma soprattutto attrae con voracità, quasi una vertigine. Fra le pagine più importanti del libro, forse vanno contate proprio le riflessioni di Lisa in tal senso: come nasce l’interesse, pur scientifico, verso una particolare specie? Di quale natura è questa attrazione, come si innesca questa infatuazione?
“Per ognuno l’oggetto di studio, di ricerca o di possesso, assume i caratteri di un «oggetto transazionale», al pari delle fotografie o di una bambola di pezza (meglio ancora, giocando a certe scoperte, di «oggetto piccolo», come teorizzato dalla psicanalisi). Un segno, un colore, una forma devono aver colpito i sensi dell’osservatore, inducendo una risposta primaria affettiva e poi razionale. Cosa andiamo cercando nelle sequenze del DNA delle drosofile, nel dettagliato repertorio di questi eterogenei frammenti di antenne, e cosa cerco io in tale singolo Diaperis, se non il ricordo di quell’impressione?” (Tommaso Lisa, Memorie dal sottobosco)
Forse una risposta vera non c’è, eppure è importante interrogarsi su questo, che in fin dei conti è uno dei fili che lega l’essere umano al mondo in cui vive: non semplicemente un interesse pragmatico e oggettivo, ma una partecipazione totale, un legame simbolico e vivo fra il soggetto e la realtà oggettiva.
Proprio come un buco nero, il tenebrionide attira la mente, eppure resta in fin dei conti inconoscibile nella sua essenza. E qui in fin dei conti sta il suo fascino: una domanda ineludibile, chiusa in una scatola entomologica come una reliquia in un forziere.